LA III FASCIA TRA CHI E’ “PRO” E CHI E’ “CONTRO”.

In queste ore si sta svolgendo l’ennesimo teatrino sulla pelle dei docenti e, mentre le televisioni e le radio nazionali parlano di “sanatoria” per i precari che stanno ricoprendo gli incarichi di ruolo necessari al MIUR per coprire i posti del turnover, in misura tra l’altro non sufficiente al reale fabbisogno, in Parlamento si gioca una brutta partita tra le due forze politiche di maggioranza, una a favore di percorsi riservati ai precari storici e una a favore di percorsi di formazione e reclutamento più uniformi.
Il problema, come da DIECI ANNI denunciamo, però, è tutto giocato sui termini che accompagnano questo dibattito, che oggi, come in tutti questi anni, nascondono insidie, veicolano distorsioni, storture e tradiscono sia il pensiero di chi li utilizza che la realtà così come invece si presenta.
I due partiti al Governo del Paese, ormai spaccati su tutto, stanno facendo un grottesco braccio di ferro sulla possibilità di bandire un nuovo percorso abilitante speciale per i docenti di III fascia. Primo problema: docenti di III fascia! Lo ripeto perché è sul sostantivo che si gioca la partita. Se sono docenti, e per noi lo sono senza alcun dubbio, hanno il sacrosanto diritto di avere una procedura dedicata per ambire alla stabilizzazione, esattamente per il motivo per cui Adida è nata. Precariato storico a tutti gli effetti, con anni ed anni di servizio continuativo o frammentato sulle spalle, che dovrebbero essere valorizzati e non “puniti”, selezionati, valutati, ecc., visto che il compito di docenti lo assolvono stabilmente a tempo determinato.
La cosa di cui mi compiaccio, tuttavia, è che il riconoscimento di status, ovvero quello di docenti precari, oggi ce l’hanno, frutto di una decennale battaglia in cui Adida è stata in prima linea, contribuendo significativamente a questo basilare riconoscimento.
Tuttavia, ancora c’è chi non riesce proprio a considerare lo sfruttamento subito per garantire il funzionamento del sistema scolastico italiano, un banco di prova professionale, non riesce a dare il giusto risalto all’opera di controllo dei dirigenti scolastici, che hanno tutto il potere per giudicare l’operato di tutti i docenti in servizio nelle loro scuole ed adottare le misure adatte a qualsiasi comportamento scorretto o non adeguato. Sono o no gli stessi dirigenti scolastici a valutare i docenti neoassunti nel loro anno di prova? Non potrebbero avere un ruolo, quindi, anche nella valutazione di altri “tipi” di docenti?
In realtà, docenti ce n’è di un solo tipo, salvo che siano reclutati da graduatorie diverse e con contratti a termine o tempo indeterminato. Ma il lavoro che svolgono non cambia di una virgola: stessi obblighi, stessi doveri, stesse identiche responsabilità, civili e penali.
Per noi, quindi, il discorso si chiude così, con un riconoscimento di status “di fatto” dato dal lavoro che ciascun docente svolge, a prescindere dalla graduatoria di reclutamento.
Altra cosa, invece, è capire se quella di un nuovo PAS sia la strada giusta. Forse è un inizio, come qualche anno fa, ma di un percorso di ad ostacoli, come iniziò sempre qualche anno fa. Corsi a pagamento, riconosciuti come “scorciatoie” da parte del mondo politico e vendute come tali all’opinione pubblica, che giustamente non sa di cosa si parli.
Senza contare il fatto che ancora una volta le università potrebbero fare cassa sulla pelle dei precari, anche questa è una storia già vista.
In sostanza, stiamo rileggendo pagine conosciute di un testo di cui non sapremo la fine. Ciò che è certo è che per un altro anno, la scuola pubblica avrà, in mancanza di un piano definito, precariato a basso costo da sfruttare per almeno uno, due e chissà quanti anni ancora.

Valeria Bruccola (Coord. Naz. Adida)